È passato quasi un mese, avevo bisogno di far sedimentare i pensieri dell’esperienza che ho vissuto partecipando al Perugia Social Photo Fest per parlarvene.
Prima di descrivervi quei giorni così intensi voglio fare una piccola regressione su come ho iniziato a fotografare, alcuni di voi conoscono già il motivo, altri non ancora, ma se volete potete saltare la parte noiosa, ve lo concedo 😉
Prima del 21 Marzo 2009 ero una ballerina, siamo sinceri, non una grande ballerina, ma era una mia passione, un appuntamento che aspettavo ogni settimana per sfogare tutte le energie e pensieri negativi. Non ho mai voluto essere una ballerina professionista, ma mi piaceva la sensazione del movimento del mio corpo, l’attesa dell’inizio di uno spettacolo, ballare con il mio gruppo e come ogni cosa è solo quando la perdi che ne comprendi davvero l’importanza. Dopo quella data sono cambiate molte cose. L’inizio della primavera per me ha sempre ricordato il dolore, sapeva di asfalto bagnato, di lacrime, di ospedali, delle preghiere degli altri e di sogni infranti. In tutto questo dolore però mi sono ritrovata, sono rinata attraverso la fotografia da allora mia fedele compagna. Ho cominciato a scattare alla ricerca di me stessa, è da subito diventata un processo di autocoscienza e di esplorazione del sé. Ho iniziato ad utilizzare la fotografia in modo terapeutico ancora prima di comprenderne il significato, gli autoritratti che tutt’ora mi scatto sono serviti ad accettare il mio nuovo corpo, essere gentili con noi stessi non è semplice, ma sfidare i nostri limiti, sognare in grande, amarsi anche se si è un po’ rotti è molto più soddisfacente.
Dopo tanti anni di fotografia terapeutica sperimentata su me stessa ho iniziato ad informarmi sull’argomento e ho scoperto un mondo fatto di persone meravigliose che come me vogliono utilizzare la fotografia come medium per aiutare gli altri, per arricchire la vita di chi guarda, per una maggiore coscienza e azione sociale.
Sono quindi approdata al Perugia Social Photo Fest grazie a Dario del collettivo Fotosocial, con timidezza, un po’ di timore, ma di quello sano di quando ti approcci ad una cosa per la prima volta, e con grande curiosità.
“The skin I live” è stato il filo conduttore di tutto il festival, conferenze, workshop e mostre hanno parlato di pelle come metodo conoscitivo di noi stessi e del mondo che ci circonda. Ciò che voglio condividere con voi sono sensazioni più che nozioni. Carlo Riggi nella sua presentazione ha associato il fotografo ad un sognatore, ed è un po’ così che mi sono sempre sentita e ho capito che la mia fotografia diventa un reportage dell’animo che fa emergere aspetti dei miei soggetti di cui non erano a conoscenza, non è una mera rappresentazione, ma è una ricerca e un ritrovamento di sè.
“ Pelle come identità.
Pelle come confine.
Pelle come comunicazione.
Pelle come relazione”
È stato emozionante e mi sono sentita parte di un mondo nuovo, sono tornata a casa piena di pensieri ingarbugliati ma belli, che hanno il colore dell’arcobaleno. Ho conosciuto persone che stimo per la vita che hanno intrapreso, altre dai racconti circensi che mi hanno rapita, ho visto fotografie che mi hanno commossa e letteralmente ricoperta di lacrime, ho incontrato occhi sinceri e sorrisi caldi che mi hanno accolta in questa grande famiglia, storie di persone diverse, ma con un ideale comune.
Non so bene dove tutto questo mi porterà, ma sono impaziente di iniziare il mio percorso. Amo raccontare storie di vita e questa si sa è fatta di momenti felici ed altri più difficili, ma che è necessario documentare e far conoscere.